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Manaus – “Orion”, un viaggio tra luce e oscurità
Con il nuovo singolo “Orion”, i Manaus tornano a sondare i confini più profondi dell’animo umano, muovendosi tra psichedelia e doom rock con una naturalezza che è ormai la loro cifra distintiva. Il brano si presenta come un’esperienza densa e viscerale, dove la tensione tra luce e buio diventa il motore di una ricerca interiore che non teme di confrontarsi con l’ombra.
L’atmosfera sospesa di “Orion” nasce da un equilibrio fragile e magnetico: le chitarre evocano paesaggi cosmici, la voce sembra arrivare da un altrove remoto, mentre il ritmo si muove tra lentezza e potenza. Il risultato è un suono autentico, fedele all’impatto live della band, capace di trasformare l’ascolto in un rituale catartico.
Più stratificato e maturo rispetto ai lavori precedenti, “Orion” segna un’evoluzione naturale per i Manaus, che scelgono di non incasellarsi in un genere preciso ma di seguire l’istinto e la verità delle proprie sensazioni. Un brano che invita a lasciarsi attraversare, più che a comprendere, e che testimonia la continua crescita di una formazione sempre più consapevole della propria identità sonora.
In “Orion” si percepisce una tensione costante tra luce e buio, tra corpo e spirito. È una dualità che vi appartiene anche come persone?
Un saluto a tutti, sono Daniel, è un piacere essere con voi.
I nostri testi sono molto introspettivi, Orion ne è un esempio. Personalmente scrivo solo se sono spinto da una sensazione che sento il bisogno di esplorare, per curiosità a volte, altre per il bisogno di esorcizzarla o per capire cosa ne viene fuori.
Penso che tutti quanti siamo uno e molto altro.
Il vostro suono unisce psichedelia e doom rock, generi apparentemente opposti. Qual è la chiave per farli convivere senza che uno sovrasti l’altro?
Diciamo che non c’è una formula, quando scriviamo non pensiamo a restare ancorati in un genere o in un altro. Personalmente quando scrivo la mia musica mi concentro su cosa sento e poi provo, provo fino a quando quello che esce dall’amplificatore non mi rimanda a quella sensazione. Ci sono esempi stupendi di heavy rock psichedelico già da fine anni 60, non cerchiamo di esplorare quei territori, facciamo ciò che ci riesce naturale.
La voce nel brano sembra provenire da un’altra dimensione. Come avete lavorato sulla produzione vocale per ottenere quell’effetto?
Giuriamo che è tutta farina del sacco di Miriana! No, a parte gli scherzi, abbiamo cercato di tenere tutto il più simile possibile a come abbiamo suonato e cantato, il lavoro di post produzione è stato davvero molto contenuto. Quello che il pubblico può ascoltare su disco è il più possibile fedele a quello che ascolterebbe live.
“Orion” segna un punto di svolta nel vostro percorso. C’è stato un momento preciso in cui avete capito che stavate cambiando direzione?
È stata un’evoluzione naturale, non abbiamo deciso di apportare “modifiche” a quello che era il nostro modo di scrivere la musica, c’è stata un processo che si è venuto delineando poco alla volta. Orion risulta nel suo insieme più “stratificata” rispetto ai pezzi del primo album i quali invece trovavano soluzioni più punkeggianti, quindi cambi di dinamica più netti, più attenzione alla struttura armonica. Siamo pienamente soddisfatti del risultato finale, speriamo piaccia anche a voi, buon viaggio!!!
