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“Quando c’era il Liga” di Mac Parak — un ponte tra passato e presente musicale

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Con il nuovo singolo “Quando c’era il Liga”, Mac Parak celebra il rock italiano degli anni ’90 e la forza dei ricordi che resistono al tempo. In questa intervista per Prima Music, l’artista racconta il proprio percorso tra palco, insegnamento e vita vissuta, rivivendo l’energia degli esordi con gli Acrofobia e l’influenza di nomi come Timoria, Ligabue e Litfiba. Un brano che profuma di nostalgia e resilienza, dedicato a chi non ha mai smesso di credere nella potenza del rock autentico.

C’è un momento specifico che ricordi come l’inizio della tua carriera musicale?
Sì, senza dubbio il mio primo concerto dal vivo. Avevo diciannove anni e mi diedero l’opportunità di aprire un evento nella piazza principale della mia città. Ricordo che avevo le gambe di cemento e una vergogna fottuta per via di un brufolo enorme in faccia! (ride) Eppure, nonostante io e la mia band dell’epoca (gli Acrofobia) non fossimo proprio impeccabili, il pubblico ci accolse con un entusiasmo sorprendente. Si sentiva che eravamo agli inizi, ma anche che ci mettevamo l’anima.

Da dove trai principalmente ispirazione per le tue canzoni?
Da ragazzo scrivevo quasi esclusivamente d’amore, d’amicizia o di dipendenze. Oggi i temi si sono naturalmente evoluti: la malinconia, i ricordi, gli amori maturi e, soprattutto, la resilienza. Quella capacità di rialzarsi e continuare a creare anche quando la vita ti ha già fatto qualche sgambetto.

Ci sono temi o messaggi ricorrenti nelle tue canzoni?
Negli ultimi tempi sì, decisamente. Parlo molto dei ricordi legati alla mia giovinezza e del valore della resilienza. In fondo, scrivere è anche un modo per non perdere di vista chi sei stato e per dare un senso a ciò che sei diventato.

Quali artisti o generi musicali ti hanno influenzato maggiormente?
Da ragazzo ero un figlio dell’hard rock e dell’hair metal di fine anni ’80. Poi sono arrivati i Timoria, Ligabue e Litfiba: li cantavo praticamente a ogni live. Quel mix di potenza e introspezione mi ha formato e mi accompagna ancora oggi.

Come valuti la tua evoluzione artistica nel corso degli anni?
Premesso che non mi definisco un cantante professionista, perché la mia energia è sempre stata divisa tra la regia e l’insegnamento, direi che la vera evoluzione è arrivata con la vita stessa. Crescendo, impari a guardarti dentro. Così ho messo da parte il rocker ribelle per far spazio a un rocker più riflessivo, forse più saggio, ma con lo stesso fuoco di sempre.

Qual è la tua canzone preferita da eseguire dal vivo e perché?
Delle mie, direi “Non era previsto”, che poi è anche il brano che dà il titolo all’album: è quella che più mi rappresenta oggi. Tra le altrui, invece, “Sangue Impazzito” dei Timoria. Da giovane la cantavo con una facilità disarmante, oggi un po’ meno (ride), ma resta un pezzo magico, un inno generazionale.

Da dove è nata l’idea per il tuo nuovo singolo?
Dalla visione della serie sugli 883. Mi ha riportato a quegli anni magici e mi ha fatto capire che era il momento giusto per tornare e dire la mia su quel periodo, su ciò che è rimasto di quel sogno collettivo.

Quali sono i tuoi obiettivi per il futuro in termini di carriera musicale?
Non ho grandi mire legate a tournée o palchi enormi, ma se posso sognare, mi piacerebbe firmare con una major e arrivare a toccare più persone possibile. In fondo, il mio obiettivo resta sempre lo stesso: emozionare, far rivivere attraverso le mie parole un pezzo della loro — e della mia — storia.

 

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