Primo Piano
Carlo Pontevolpe: ironia pop e libertà artistica, senza compromessi
Carlo Pontevolpe
Classe ’85, origini lucane e una voce che porta in sé la leggerezza del pop e il peso delle domande giuste. Carlo Pontevolpe scrive, canta e riflette — spesso tutto insieme — con uno stile che si muove tra ironia e consapevolezza. Non cerca scorciatoie né consolazioni facili: le sue canzoni si fanno carico di ciò che è umano, fragile, contraddittorio. Ma lo fanno con ritmo, testa e cuore.
C’è un momento, nel brano, in cui sembri divertirti proprio mentre ti stai lamentando. È un corto circuito o una liberazione voluta?
C’è molta presa di coscienza in questa canzone, ma c’è anche la voglia di ballarci su e non prendersi troppo sul serio. “Non Ne Posso Più” non è un modo per scaricare la mia personale frustrazione, bensì ironizza sulla brutta abitudine di lamentarsi e cercare degli alibi, invece di ammettere semplicemente che a volte non abbiamo voglia di fare determinate cose perché ci fa comodo rimanere nella nostra comfort zone.
Hai parlato di “comfort zone” e “scuse per non agire”. Che ruolo ha oggi la paura di fallire nella tua scrittura?
Bella domanda. Sicuramente la paura di fallire così come le altre fragilità dell’animo umano sono, secondo me, parte della sua bellezza. Come artista provo a trasformare queste paure in qualcosa di godibile.
Scrivi pensando a un pubblico, o prima di tutto per smuovere qualcosa dentro di te?
A ormai quasi quarant’anni scrivo soprattutto per mia soddisfazione personale. Per me scrivere non è solo sfogare delle emozioni, è uno strumento per connettermi con il mio universo interiore, per meditare sui miei pensieri e sentimenti.
“Non Ne Posso Più” è un brano ironico, ma con una struttura precisa. Quanto lavoro c’è dietro un pezzo che deve sembrare spontaneo?
C’è un bel po’ di lavoro devo dire. La strofa è venuta subito e spontaneamente, mentre cercare un ritornello orecchiabile che non fosse banale ha richiesto tante ore. Quando però arriva, è un’emozione incredibile! Senti la pelle d’oca, un appagamento intenso a livello celebrale, sei certo che l’hai trovato!
Il pop, oggi, può ancora permettersi di essere intelligente?
Intanto grazie perché potrei prenderlo come un complimento. Secondo me, assolutamente sì! Credo ancora in un pop intelligente e che smuova le coscienze, ma non ha tutti i torti chi dice che i testi più profondi oggi li scrivono i rapper e questo per me è difficile da accettare.
Quando componi, ti viene prima la melodia, il testo, l’idea o lo sfogo?
Ogni canzone è un viaggio a sé. Come ho già detto in varie occasioni: ho iniziato a essere prolifico quando ho capito che non c’era una regola. Per “Non Ne Posso Più” sono partito da una piccola sfida: comporre più melodie con lo stesso giro armonico. Diciamo che se volessi identificare un metodo prevalente nelle mie composizioni, mi piace partire dagli accordi, lasciarmi emozionare e guidare da essi e poi catturare la melodia cantandoci sopra, infine il testo sempre carpendolo dalla melodia, mai scrivendolo prima.
Come vivi il confronto con il successo degli altri artisti della tua generazione?
Come dice il grande Renato Zero: “nella guerra dei numeri, che speranze hanno i deboli?”
Devo dire che oggi non è facile andare avanti quando vedi Cremonini, per dirne uno, che giustamente celebra i suoi successi quotidianamente sui social. L’esercizio è quello di focalizzarsi su ciò che per me conta veramente, sicuramente non il successo in termini di numeri, bensì la libertà artistica intesa come poter scrivere quando voglio, come voglio, senza scadenze, producendo a mio piacimento, senza dettami e intrusioni, poter esibirmi live quando e come voglio e tutte le libertà di chi non lo fa per campare ecco…
Se ti chiedessero di suonare questa canzone su un palco dove nessuno sorride… lo faresti?
Assolutamente sì! Sta all’artista coinvolgere chi ascolta e guarda, ma c’è pubblico e pubblico! Io faccio tutto il possibile per far divertire gli spettatori, ma se rimangono sulle loro, beh, non è un problema mio! Io mi godrò lo stesso la serata! Certo, fa piacere vederli coinvolti, non c’è cosa più soddisfacente per un artista, ma ad un certo punto bisogna anche capire che tipo di audience hai davanti. Un po’ come quando i Blur a Glastonbury si sono irritati perché nessuno partecipava. Io, al posto loro, avrei mantenuto un certo atteggiamento “composto” focalizzandomi sul mio personale divertimento, piuttosto che sul riscontro esterno.
