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Berto: “Chiamami” è il suo brano più intimo

In questa intervista, Berto ci svela il dietro le quinte di “Chiamami”, il suo ultimo singolo che mescola sonorità elettroniche moderne con un’anima urban profondamente personale. Dalla genesi del brano al lavoro in studio con il produttore Casper, Berto racconta come è riuscito a trovare l’equilibrio perfetto tra atmosfera e ritmo, senza mai perdere di vista l’emozione autentica.
Con un approccio che unisce rap, lo-fi e jazz, Berto si ispira a grandi artisti come Mac Miller e Franco126, ma mantiene una cifra stilistica tutta sua, caratterizzata da una scrittura visiva e cinematografica. In un mercato digitale dominato dalla rapidità, Berto sceglie invece di prendersi il suo tempo, puntando su testi sinceri e produzioni curate nei minimi dettagli, dal sound design all’interpretazione vocale.
Leggi l’intervista completa per scoprire come Berto ha trasformato una sensazione di nostalgia in un viaggio musicale che parla di distanza, famiglia e rinascita, e quali nuove sperimentazioni lo aspettano nel suo percorso artistico.
“Chiamami” mescola elettronica e urban con un’impronta molto personale. Come hai lavorato sulla produzione per trovare il giusto equilibrio tra atmosfera e ritmo?
Il piano è stato il punto di partenza. Appena l’ho sentito mi ha trasmesso subito una sensazione di nostalgia, che per me rappresentava bene la distanza, il legame con la mia famiglia e tutto quello che avevo lasciato. Da lì è nata la prima strofa. È stato un processo molto istintivo.
Dal punto di vista tecnico, abbiamo lavorato per mantenere quell’atmosfera emotiva, ma senza appesantirla. Il mio produttore ha avuto l’intuizione di aggiungere delle drums old school, nel secondo verso, con un groove secco e deciso, quasi a segnare un cambiamento. Anche se non conosceva il testo nel dettaglio, ha capito che il mood doveva cambiare in modo netto, per accompagnare il passaggio dal ricordo alla voglia di rinascita.
Abbiamo cercato un equilibrio tra suoni elettronici moderni e una struttura più urban, ma lasciando spazio all’emozione. L’obiettivo era far convivere atmosfera e ritmo senza che uno coprisse l’altro, ma anzi si sostenessero a vicenda.
Collabori con Casper come producer: che tipo di intesa avete sviluppato in studio e come ha influenzato il risultato finale del brano?
Con Casper c’è stata sintonia fin da subito. In studio non servono troppe parole, lui capisce al volo l’atmosfera che voglio creare. È uno che “sente” la musica, non si limita a costruire suoni.
Su “Chiamami” ha colto l’emozione ancora prima di sapere bene cosa stessi dicendo nel testo. Quando ha proposto le drums old school ho capito che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ha dato al pezzo quella spinta che serviva, senza togliere spazio alla parte emotiva.
Lavorare con lui è semplice ma mai scontato. Mi fa sentire libero, ma allo stesso tempo mi sprona a dare il meglio. E questo si sente nel risultato finale.
C’è una grande cura nei suoni ambientali e nella resa vocale. Quanto è importante per te il lavoro sulla texture sonora e sull’interpretazione?
Per me è fondamentale. I suoni ambientali e le texture danno profondità, ti fanno entrare davvero nel mondo della canzone. Non mi interessa solo che il brano suoni bene, voglio che trasmetta qualcosa, che crei atmosfera.
Anche la voce la vivo così: non deve essere perfetta, deve essere vera. L’interpretazione per me viene prima di tutto. Se in studio non sento l’emozione, rifaccio. Voglio che chi ascolta senta quello che ho provato mentre scrivevo o cantavo, anche nei dettagli più piccoli.
Hai parlato di un’evoluzione dal registrare con le cuffiette allo studio professionale. Com’è cambiato il tuo approccio creativo in questa transizione?
All’inizio era tutto molto istintivo, registravo quando avevo l’ispirazione, senza pensarci troppo. Passare allo studio professionale mi ha fatto capire quanto ogni dettaglio conti. Non è cambiato il modo in cui scrivo – quello resta spontaneo – ma ora presto più attenzione a come trasmettere certe emozioni con la voce, a come costruire meglio il pezzo.
In studio impari ad ascoltarti in modo diverso. Non è solo cantare, è interpretare. E questa cosa mi ha fatto crescere tanto, anche a livello personale.
Il tuo stile fonde rap, lo-fi e jazz. Quali sono gli artisti o i dischi che ti hanno ispirato maggiormente nel costruire questa identità ibrida?
Sicuramente Mac Miller è stato un punto di riferimento importante. Mi ha colpito il modo in cui riusciva a unire rap, lo-fi, jazz e testi molto personali, senza mai perdere sincerità. La sua musica mi ha insegnato che puoi raccontare cose profonde anche con semplicità.
In Italia mi ritrovo molto in Franco126. Mi piace il suo modo di scrivere, diretto ma pieno di immagini e malinconia. Ha quel mix tra urban e cantautorato che sento vicino, e anche lui riesce a creare atmosfere che ti restano addosso.
La struttura narrativa del brano è molto cinematografica, quasi da short movie. Ti sei ispirato a qualche forma visiva o narrativa durante la scrittura?
Non mi sono ispirato a qualcosa di preciso, ma sicuramente il mio viaggio ha influenzato tanto la scrittura. Ho vissuto situazioni, emozioni e incontri che sembravano davvero scene da film. Quando scrivevo Chiamami, mi venivano in mente immagini, momenti vissuti, come se stessi raccontando un piccolo film della mia vita.
Mi piace l’idea che chi ascolta possa vedere quello che racconto, non solo sentirlo. Forse è per questo che il brano ha una struttura così narrativa: parte da una sensazione forte e poi si apre, come un viaggio fatto di tappe, distacchi e cambiamenti.
Come gestisci il rapporto tra testo e sound? Nascono prima le parole o la base musicale?
Al momento nascono prima le melodie. Sono quelle che mi trasmettono un’emozione, e da lì provo a metterla su carta. Almeno con Chiamami è andata così: ho sentito il piano e subito ho visualizzato immagini, sensazioni, e da lì ho iniziato a scrivere.
Detto questo, sto cercando anche di allenarmi a scrivere senza base, solo con le parole. Penso sia importante, perché ti aiuta a dare più forza al testo, anche quando la musica non c’è ancora. È un equilibrio che sto ancora costruendo, ma mi piace esplorare entrambi i lati.
Quanto è importante per te il mastering in un brano come “Chiamami”, dove ogni dettaglio sonoro sembra avere un ruolo emotivo ben preciso?
Il mastering è fondamentale, soprattutto in un brano come Chiamami, dove ogni dettaglio sonoro ha un significato emotivo. Serve a dare equilibrio, a far convivere bene tutti gli elementi: la voce, il piano, le drums.
Non è solo una questione tecnica, ma proprio emotiva. Volevo che chi ascolta sentisse tutto: la nostalgia, il distacco, ma anche la speranza. Il mastering è l’ultimo passaggio che permette a tutto questo di emergere davvero.
In un mercato digitale in cui l’attenzione è minima, “Chiamami” si prende il suo tempo. Hai mai temuto che questa scelta potesse risultare controcorrente?
Sì, ci ho pensato. Oggi tutto va veloce, e magari un pezzo che si prende il suo tempo può sembrare fuori moda. Ma ho preferito dare più importanza al testo che al sound troppo costruito che si sente nella scena italiana in questo momento.
Chiamami doveva essere vero, non solo una bella produzione. Se una cosa arriva perché è sincera, anche se ha un ritmo più lento, per me vale di più. Non volevo adattarmi solo per seguire un trend.
Stai già lavorando a nuovi brani? Possiamo aspettarci una continuità con questo sound o pensi di sperimentare ancora in altre direzioni?
Sì, sto già lavorando a nuovi brani. Sono un artista che ama provare cose diverse e spaziare, quindi non mi piace fermarmi sempre nello stesso posto. Sto ancora cercando il mio sound, sono in continua sperimentazione e aperto a nuove strade.
Non escludo che ci saranno elementi simili a Chiamami, ma voglio anche esplorare altre direzioni e vedere dove mi porta la musica.